lunedì 28 gennaio 2008

"Walter e la strategia della speranza" - M. Giannini



Walter Veltroni. Un destino rinchiuso in due giorni. Di qui a mercoledì prossimo si decide la crisi di governo, si consuma la fine del centrosinistra, si compie il futuro del Partito democratico. Walter Veltroni lo sa bene. E per questo è determinato a combattere a viso aperto la sua battaglia. "Nelle prossime quarantotto ore si gioca tutto. Noi insisteremo per un governo tecnico-istituzionale che, in otto mesi o al massimo un anno, porti a termine le riforme necessarie a modernizzare il sistema, dalla legge elettorale ai regolamenti parlamentari. Questo chiederemo al presidente Napolitano. Con sincera speranza, ma senza troppe illusioni. Dobbiamo essere pronti ad affrontare anche lo scenario alternativo: le elezioni anticipate che, a giudicare dalla chiamata alle armi del centrodestra, sembrano più vicine". Il leader del Pd è appena rientrato da Firenze, dove ha lanciato l'ultimo appello al "senso di responsabilità nazionale di tutte le foze politiche", per riscrivere insieme le regole del gioco, "nell'interesse del Paese". Un appello che sembra destinato a cadere nel vuoto, visto l'abisso aperto da Berlusconi che rievoca ancora una volta la magica Piazza, rilanciando l'ultimatum fatale: "O elezioni subito, o milioni di persone si riverserannio a Roma". Veltroni naturalmente non condivide, ovviamente non apprezza. E in vista della salita al Colle, prevista per domani, non vuole ancora arrendersi del tutto alla deriva berlusconiana. Spera ancora che Napolitano riesca a convincere Marini ad accettare un incarico esplorativo. E spera ancora che il presidente della Camera riesca a sua volta a convincere il Cavaliere, in nome "dell'emergenza nazionale", a sostenere un "governo di scopo" che riscriva la legge elettorale e i regolamenti parlamentari, e poi porti il Paese alle urne.
Il sindaco parte da una convinzione: "Io non credo affatto che gli italiani siano entusiasti di tornare a votare adesso, in una situazione socio-economica così incerta, e con una paralisi politico-istituzionale così evidente. Ma soprattutto sono sicuro che gli italiani non vogliono ritrovarsi al governo del Paese, di qui a pochi mesi, un'altra coalizione di diciotto partiti, che può solo litigare senza decidere niente. Perché parliamoci chiaro, se si tornasse a votare subito, e se il centrodestra vincesse, Berlusconi si troverebbe prima o poi nelle stesse condizioni in cui si è trovato Prodi. E questo è esattamente quello che i cittadini temono di più". Ecco perché, anche se ormai appare un'impresa disperata, il Pd deve battersi comunque per sostenere un eventuale incarico a Marini. Ma Veltroni è un idealista pragmatico, e non vive nel mondo dei sogni. Se l'ipotesi principale resta quella del governo tecnico - istituzionale, lui sa bene che il Partito democratico deve essere pronto a gestire anche l'ipotesi subordinata, quella del voto anticipato. Non può non tener conto che questo è l'ordine categorico, impartito dal quartiere generale del Cavaliere e ormai condiviso dall'intero stato maggiore della rinata Casa delle Libertà. Compreso Casini, che non può più permettersi il lusso di votare insieme al centrosinistra un ipotetico "governo per le riforme". Il sindaco di Roma prende atto: "Berlusconi gioca a confondere le acque, e un minuto dice una cosa, due ore dopo dice l'esatto contrario. Ma è evidente che ormai il centrodestra punta tutte le sue carte sulle elezioni ad aprile...". E questa evidenza rende molto più stretti i margini di manovra del presidente della Repubblica. Per questo Veltroni deve prepararsi a raccogliere la sfida del voto anticipato. E se è vero, come dice l'unto del Signore, che "siamo già in campagna elettorale", allora il leader del Pd non si tira indietro: campagna elettorale sia. "A Berlusconi dobbiamo far pagare tutti i prezzi politici possibili. Prima decreta la morte della Casa delle Libertà, si inventa un sedicente Partito del Popolo, annuncia che andrà al voto da solo, definisce "ectoplasmi" gli ex alleati di An e Udc. Poi, di punto in bianco, rifonda l'antica alleanza, riaccoglie nella casa del padre tutti i reprobi, uccide il vitello grasso per Mastella, e forse persino per Dini". "E lo stesso prezzo politico - aggiunge il sindaco - dobbiamo farlo pagare anche a Fini. "Prima rompe con il padre-padrone di Forza Italia, dichiara finito il centrodestra, firma il referendum elettorale per correggere la "porcata" di Calderoli. Poi, di punto in bianco, restituisce con tutti gli onori la corona al sovrano di Palazzo Grazioli, torna sotto il tetto della Cdl, e soprattutto grida elezioni anticipate, "anche con questa legge elettorale". Tutti questi voltafaccia, giocati sulla pelle del Paese, "noi dobbiamo farglieli pagare: stanno rimettendo in piedi un caravanserraglio che finirà per andare da Tilgher a Mastella, e voglio vedere come faranno a reggere". In compenso, Veltroni sa perfettamente quello che deve fare il suo partito: "Lo confermo, il Pd va da solo". Va da solo alla Camera, e al massimo può puntare a qualche desistenza al Senato. Ma il dado della "vocazione maggioritaria" è ormai tratto, e indietro non si torna. "Su questo punto - osserva il leader - io vado fino in fondo. E' un'idea che avevo in testa fin dall'inizio, e ora siamo tutti d'accordo. Anche le prime reazioni di Prodi, dopo la caduta al Senato, sono assolutamente positive. Il partito è compatto, non c'è nessuna resa dei conti da fare, nessuna vendetta politica da consumare. C'è solo da andare avanti sulla strada che abbiamo intrapreso, che è l'unica che può cambiare il Paese, ed è l'unica che la gente apprezza davvero". Questa è l'altra convinzione del sindaco. La svolta maggioritaria del Pd è servita a far capire agli italiani che il rinnovamento è possibile. Che è finita davvero l'era del bipolarismo coatto e delle Armate Brancaleone messe insieme per vincere il giorno delle elezioni ma non per governare l'intera legislatura. "A Firenze, di fronte a Joschka Fischer e a Ségolène Royal, ho rilanciato la necessità di un ambientalismo del fare e non del vietare: è venuto giù il teatro. La gente ha capito il nostro messaggio, e reagisce bene al fatto che recuperiamo la nostra identità culturale e la nostra libertà programmatica". Convinto di questo consenso sociale, e della sua capacità personale di incarnare una leadership moderna, aperta e non ideologica, Veltroni pensa di poter battere il Cavaliere, anche se si andasse a votare subito. E' il primo a credere che esista un "veltronismo", che è valore politico e colore mediatico, capace di allargare il perimetro storico del vecchio Ulivo e di intercettare fasce di elettorato, in campo neutro e in campo avverso. Può darsi che abbia ragione. Può darsi che si sbagli. Ma la prova del budino, per il Pd, è l'unica possibile. "Del resto - ripete lui stesso - che alternativa abbiamo? Ci rimettiamo a fare l'alleanza con i comunisti e tutti gli altri cespugli? Avete visto che venerdì hanno già annunciato il no alle missioni militari? E avete visto che oggi Diliberto torna alla carica con la falce e martello?". No, basta con questi compromessi forzati che non portano da nessuna parte. Basta con un altro caravanserraglio, da opporre a quello berlusconiano. Basta con quello che Giulio Tremonti chiama il centrosinistra "salsiccia", tipo mutui subprime americani dove dentro trovi di tutto. C'è davvero "un'occasione storica per realizzare qualcosa di nuovo", e il leader non vuole lasciarsela sfuggire. Ai democratici non resta quindi che la "traversata nel deserto". Che può portare al governo, se quella di Veltroni non si rivelasse una pia illusione ma una scommessa vincente. Oppure può portare all'opposizione, il luogo dove "siamo allenati a stare da una vita", per usare la metafora dolceamara di D'Alema. Come il vecchio Pci si ritirò nell'orgogliosa "ridotta della diversità", così oggi il nuovo Pd si rinchiude nella fiduciosa trincea dell'autosufficienza. In tutti e due i casi, e per ragioni uguali e contrarie, una mossa ad alto rischio. Una scelta che ti può condannare a una lunga solitudine. Ma se davvero il centrosinistra è perduto, bisogna almeno salvare il Partito democratico.

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