lunedì 12 novembre 2007

Ciao, Giglia

E' morta Giglia Tedesco. Una presenza costante anche per chi, come me, si è avvicinato alla politica negli anni più recenti. Uno di quei dirigenti che mi hanno reso autorevole una storia e un partito. Una recensione del suo libro scritto insieme ad Anna Maria Riviello, forse rende meglio la persona. (Anna Maria Riviello "Ho imparato tre cose. Conversazioni con Giglia Tedesco". Caliceditore, 2006, pp. 124- recensione di Graziella Falconi)
"Ché il titolo non induca in errore: ad aver imparato tre cose è Giglia Tedesco; Anna Maria Riviello probabilmente dichiarerebbe di averne imparato di più da queste conversazioni. E non solo per cortesia formale o savoir faire, ma per l’ammirazione mista ad affetto che la senatrice Tedesco ispira, non inferiore a quella che ispirava Nilde Jotti, con la quale è in copertina, in una foto - un tondo di famiglia – che le ritrae a discutere con grazia e decisione. Questo è uno degli incipit / per quanto autentico e doveroso) che potrebbe anche urtare la nota ritrosia di Giglia.La senatrice infatti è persona di grande misura e solare, ma schiva e talmente riservata che al congresso di Roma, il terzo dei DS, nel febbraio 2005 si lesse un suo biglietto di scuse per non essere fisicamente presente all’assise a causa – cito a memoria - di “fatti sanitari”, espressione con cui glissava e minimizzava sui suoi problemi di salute. Se si è decisa, non ad un’autobiografia, ma alla pubblicazione di queste conversazioni fra lei e la Riviello, raccolte nella sua casa romana, è stato il “timore che nel furore della distruzione di tutto ciò che ha avuto a che fare con le travagliate vicende del comunismo del Novecento” si perdano esperienze che hanno profondamente segnato la storia d’Italia; il timore che si getti il bambino e si tenga l’acqua sporca. Non è possibile tuttavia, in quest’ottica, sfuggire ad dato biografico della Tedesco avendo lei attraversato l’intero secolo e compiuto esperienze di rilievo sia nel movimento delle donne, sia come presidente della Commissione dei Garanti prima e del Partito poi, e, in quanto senatrice, Vice presidente del Senato.Accenna di sfuggita, in queste conversazioni, alla sua famiglia di origine. Suo nonno, funzionario statale, era stato per ben sette volte Ministro con Giolitti, eppure non aveva nulla, neppure la casa di proprietà, aveva solo la mobilia e la pensione. Una linea di rigore che si tramanda e si rafforza, che conosce durezze private e resiste alle sirene della società del benessere. Solo questo, forse, Giglia ritiene di dover far conoscere della sua formazione, insieme alla laicità di una educazione basata su valori cattolici e antifascisti. L’antifascismo come esercizio della ragione e il ripudio quotidiano del credere obbedire combattere. Poi il profumo della libertà, la caduta del regime, potersi esprimere, finalmente. “Il problema che mi venne naturale di pormi era se questo bastava oppure no ed a me sembrò subito evidente che non bastava che occorreva cambiare la società, realizzare quella che allora si chiamava la giustizia sociale” ed ecco che la democrazia, appena ritrovata, per i giovani come Giglia doveva non già essere superata, ma inverarsi, sostanziarsi di solidarietà e giustizia sociale. Riviello ad un certo punto parla di fondamentalismo della libertà e lo definisce pericoloso come tutti i fondamentalismi “e inoltre stravolge la nostra storia schiacciandola entro uno schema che non la comprende”. Non vi è il commento di Giglia a riguardo, e certo sarebbe interessante una discussione del nesso disciplina libertà nella storia del movimento operaio, ivi compresa un’altra affermazione della Riviello, assai ottimistica – o forse datata - riguardante la classe operaia che “giovane protagonista della storia ha ben altro da fare che indugiare nel libertinaggio. Chi lo fa apparentemente trasgredisce la farisaica morale borghese ma in realtà ne è vittima”. Figlia di una solida borghesia, mentre studia all’Università, lavora fino alle due presso il Ministero del tesoro, dove arriva perché Amintore Fanfani, allora Ministro del lavoro, non gradisce la sua presenza nel suo dicastero. Intanto fa politica, e dopo un passaggio nel gruppo dei cattolici romani, entra nel Pci e a soffrirne sono gli studi universitari, anche perché viene ben presto coinvolta da Togliatti, che molto pragmaticamente si poneva il problema dell’utilizzazione di persone con un percorso diverso alle spalle. Né era la sola inclinazione di Togliatti a scandalizzare il suo partito, che addirittura per un certo verso brutalizzò con il voto alle donne, supportato in questo da personalità politiche femminili di tutto rilievo: “le comuniste della mia generazione non cominciavano dal nulla”, dice Giglia, riferendosi a personaggi come Teresa Noce, Lina Fibbi ecc. C’era il potere di attrazione di donne come loro, e di donne ‘nuove’ come Marisa rodano e Nilde Iotti. “Ho sempre pensato che una questione femminile ci fosse” anche se, confessa Giglia, “sul piano personale in quegli anni non ho avvertito conflitti”. L’adesione di Giglia al movimento delle donne è quindi tutta intellettuale e politica, con l’individuazione della forza della relazione fra donne e del Pci come strumento con il quale le donne potevano entrare nella storia. Il tema di entrare nella storia, far parte della storia, poter dire la storia siamo noi, era la molla potente per generazioni che si sono dedicate alla politica, riconoscendo in essa la condizione per il progresso proprio e del Paese. Non fu solo la questione del voto alle donne, dice acutamente Giglia, ma, per decenni, il lavoro, i servizi sociali, la qualità della vita fecero parte di quell’entrare nella storia . E in questo senso l’emancipazione in sé rappresentava un salto, l’hic rodhus hic saltat, il fine rivoluzionario. Certo dalla classe operaia, e dal partito, le femministe erano mal viste, considerate piccolo borghesi o aristocratiche – comunque fuori posto - quando la freccia non si doveva scoccare né troppo in alto né troppo in basso, “non si doveva essere troppo lontani dal senso comune ma neanche inseguirlo ad ogni costo”. In questa situazione occorreva inventare una cassetta degli attrezzi per il lavoro politico delle donne che in mano non avevano proprio niente. Con una eccezione, ma una grande eccezione: la Carta Costituzionale del ‘48. L’asse di tutte le battaglie fu perciò l’attuazione della nostra Costituzione. Ma le “cose per le donne cambiarono con gli anni sessanta”, eppure manca, dice Giglia, una storia compiuta delle donne comuniste. Forse è arrivato il momento di aggiornare il testo di Nadia Spano e Fiamma Nirestein del 1972. Un tentativo fu compiuto (anche grazie alla intuizione di Aida Tiso e alla disponibilità di Giglia, Nilde Jotti e Marisa Rodano), dall’Archivio storico delle donne Camilla Ravera, che curò l’analisi e lo studio delle varie conferenze delle donne comuniste attraverso le sue responsabili nazionali, fino a Lalla Trupia. Non di meno andrebbe rivisitata la storia dell’Udi, l’Unione Donne Italiane: dall’errore di aderire al fronte popolare nel 48, alle divisioni tra chi riteneva dovesse l’Udi occuparsi delle riforme di struttura, e chi di emancipazione - ”prima si cambia la società e il resto seguirà” -, dal limite analitico di partire sempre dal noi invece che dal sé, ai problemi del suo scioglimento.Dunque tre sono le cose che Giglia dichiara ,con grazia, di aver imparato : “dal Pci ho imparato che il noi è più importante dell’io”. Una vera provocazione in tempi di partiti personali e di sottolineature acritiche del proprio vissuto.“Da mio marito / Tonino Tatò/ ho imparato che bisogna guardare al futuro alle cose che bisogna fare”. La seconda è una provocazione anche più forte, volendo ella dire che non bisogna perdersi in chiacchiere e querimonie. Insegnamento che può venire soltanto da chi si costruisce una vita semplice e rigorosa, dove la serenità permette la semplificazione dei problemi."Dal movimento delle donne che bisogna sempre partire dalla propria esperienza, che questa è una risorsa insostituibile". Partire e non fermarsi alla propria esperienza, ma partire da lì perché così si riducono e si impediscono i bla bla bla".

Nessun commento: